Lavori pubblici: gli investimenti e la ordinaria manutenzione

Un nostro concittadino baldisserese ha fatto riferimento ai tempi biblici che l’iter burocratico richiede affinché i “lavori pubblici non con carattere di urgenza” abbiano realizzazione.

Facendo riferimento sulla mia esperienza pluriennale nella maggior stazione appaltante italiana, l’ANAS, mi permetto di offrire un contributo di chiarezza, perché così come posta, la riflessione, ancorché corretta, potrebbe essere fuorviante.

Innanzitutto, i “lavori pubblici” sono di due tipi, molto diversi tra di loro: gli investimenti e la ordinaria manutenzione.

Gli investimenti hanno un iter assai complesso e articolato, in alcuni aspetti addirittura incomprensibile se non si tiene conto della ormai imperante politica del “pararsi la schiena”, per cui si coinvolgono più enti e si ripetono più volte passaggi analoghi tra loro, al solo fine di non incorrere in eventuali azioni di responsabilità.

Solo a livello esemplificativo allego uno schema che permetterà di comprendere perché ci vogliono almeno 5 anni per passare dalla fase di “idea” all’ ”affidamento alla ditta aggiudicataria”, cui seguiranno poi i tempi di realizzazione materiale dell’opera, sempre tenuto conto che non intervengano sospensioni dell’attività per decisione di autorità esterne alla iniziativa (Magistratura, Inail, FFAA, Soprintendenza Belle Arti, ASL) qualora si abbiano a verificare indagini giudiziarie, gravi infortuni sul lavoro, bonifica di residuati bellici, ritrovamento reperti archeologici, bonifiche ecologiche.

In altri Paesi, anche del mondo occidentale, i tempi e i costi sono diversi, ma diversa è anche la normativa e le procedure che si devono attuare, per cui il confronto con essi il più delle volte è sì sconcertante e anche deprimente, ma altrettanto profondamente diseguale in termini di burocrazia e di rendicontazione dei costi (solo ad una occhiata superficiale abbiamo la significativa disparità di importi che sovente ci porta a gridare allo spreco e allo scandalo [di cui peraltro a volte si ha ben ragione di lamentarsi, ma si badi, solo alcune e rare volte, grazie al Cielo e grazie ai sistemi di controllo incrociati messi in atto nell’ultimo ventennio]).

Peraltro, qualora ci si trovi di fronte al quella che viene impropriamente chiamata “carattere di urgenza” (il termine tecnico, contenuto nel Testo Unico degli Enti Locali [TUEL art. 191], è “somma urgenza” e deve soddisfare precise caratteristiche oggettive e non adattabili “ad usum delphini), si può agire immediatamente saltando ogni vincolo procedurale, perché “la eliminazione delle situazioni dannose o pericolose per la pubblica o privata incolumità derivanti da un evento calamitoso” hanno prevalenza su qualsiasi iter burocratico.

Cessato il pericolo e rimosso il pregiudizio alla pubblica incolumità, e in ogni caso non oltre venti giorni, i provvedimenti devono essere sottoposti al Consiglio per la copertura finanziaria.

Per l’ordinaria amministrazione (e quindi anche per la manutenzione ordinaria di strade, delle rive e dei fossi, di edifici, impianti tecnologici, etc.) è richiesto il rispetto della consueta normativa che nulla ha a che fare con gli investimenti né con il loro complesso (e contorto) svolgimento di cui sopra.

Fermo restando che occorre poi fare attenzione a non commettere l’errore di “fare di tutte le erbe un fascio” perché il Codice dei Contratti (D.Lgs. 50) disciplina le procedure di affidamento per lavori e forniture di beni e servizi distinguendo per ciascuna tempi e modalità, che si differenziano in funzione del valore dell’appalto. Questo per chiarire che i tempi necessari ad affidare e concludere un appalto di lavori da 20.000 euro (ad es. per asfaltare una strada) non possono e non devono essere gli stessi richiesti per un appalto di importo decisamente superiore. La normativa stessa prevede già che i tempi amministrativi siano differenti.

É pur vero che i tempi sono anche dettati dalla disponibilità di risorse e personale degli uffici di un Ente, ma questo è un aspetto di natura organizzativa, sul quale chi amministra può e deve intervenire perché gli strumenti ci sono. Chi ha esperienza di gestione sa molto bene che i processi decisionali e organizzativi devono prevedere modalità di gestione differenziata in funzione di vari parametri, tra cui il valore e la priorità: gestire forniture e appalti in modo “lineare” senza tener conto di tali aspetti è un grave errore, anche nella pubblica amministrazione.

E in ogni caso anche nell’ente pubblico pianificazione, programmazione e organizzazione sono fondamentali se davvero si vuole avere una struttura efficiente. E quel compito spetta a chi amministra.

Ovviamente molto si può e si deve ancora fare per snellire la burocrazia e il modello utilizzato per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova è l’esempio di riferimento cui ci si sta rifacendo per la revisione del Codice degli Appalti attualmente in corso. In ogni caso sono due gli elementi indispensabili per risolvere comunque i problemi: avere l’idea di cosa fare e fare il primo passo, perché per complesso e articolato che sia l’iter, se non si sa da dove cominciare o se non si inizia mai, i cinque anni di iter dureranno in eterno.

Da ultimo, nel testo su riportato è contenuta la spiegazione del perché l’iniziativa “Progetto Baldissero 2031”, di cui io e diverse altre persone facciamo parte, ha questo nome: perché è nostro intendimento avviare tutta una serie di investimenti che, visti i tempi necessari, non potranno avere, se non in minima parte, la loro concretizzazione in un solo quinquennio. Quando ci è stato chiesto di spiegare come immaginiamo Baldissero tra 10 anni, ho chiaramente espresso il nostro intendimento di andare ben oltre l’ordinaria amministrazione, perché, pur non banalizzando la quotidianità, è assai poco lungimirante pensare che il compito di chi guida una comunità si debba limitare al solo compitino del “day by day”.

E, si badi bene, “fare investimenti” non significa cementificare o deturpare un ambiente che invece ha bisogno di essere curato e tutelato per tutte le sue fragilità.

Investire per proteggere l’ambiente significa porre rimedio ad anni di scarsa attenzione e a tante parole vuote accompagnate da promesse che hanno lasciato solo la loro eco e che non hanno neppure visto realizzarsi i primi timidi passi nella direzione che tutti auspichiamo e che ci era stata più volte promessa.